domingo, 8 de outubro de 2017

La vera e autentica Comunità Cristiana, come deve essere e come si deve comportare, di Don Divo Barsotti

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(Don Divo Barsotti con Giovanni Paolo II)



Divo Barsotti: la carità

Il senso Comunitario

(15 gennaio 1956)

 

Un aspetto fondamentale del Mistero cristiano è il senso comunitario. E questo senso comunitario ci deve far sentire, capire, che la nostra appartenenza alla comunità non ci chiude, non ci difende dagli altri, ma ci dà invece una capacità nuova di amore, per avvicinarci a tutte le anime.

Non ci si chiude, ma ci si apre sempre di più a un respiro sempre più vasto di amore.
Senso comunitario. E avanti di rivolgerci agli altri dobbiamo intanto vivere questo senso comunitario fra noi. Anche fra noi abbiamo tanto motivo di superare tanti egoismi e individualismi; individualismi di chi si difende di fronte agli altri, e vuole mantenere per sé una sua esperienza, una sua vita, volendo beneficiare della comunità senza di fatto dare nulla di sé agli altri. Queste anime non hanno un senso comunitario: hanno veduto nella comunità soltanto, direi quasi esclusivamente, un mezzo di santificazione personale. Questo è sbagliato. La comunità diviene un mezzo di santificazione personale nella misura che per l'anima è veramente una comunità, una comunità d'amore. Non saremo mai anime aperte, non ci potremo mai donare agli altri se prima di tutto non realizziamo fra noi una vera comunità.
Come si realizza una comunità? Quando si pone qualcosa in comune. E che cosa noi possiamo mettere in comune? Tutta la nostra vita. Anzi, direi più che tutta la nostra vita: tutto l'essere nostro. Quello che dobbiamo mettere in comune sono i nostri beni; più ancora: il nostro corpo; più ancora: il nostro medesimo spirito, il nostro essere stesso. Non le nostre cose soltanto, ma noi stessi. Questo doppiamo porre a servizio della comunità, questo veramente donare.
Nella misura che noi si vive nella comunità, viviamo anche questo impegno di donazione, di amore, che in concreto si realizza nel dono di quello che abbiamo e di quello che siamo. E quello che abbiamo sono le nostre cose, è la nostra vita, il nostro corpo, il nostro medesimo spirito. Non abbiamo altro.


E in che modo donare i vostri beni? Mettendoli a servizio della comunità. E in che modo si mettono a servizio della comunità? Non certo nel senso che la comunità debba mettere da parte una bella somma, perché allora dal senso di proprietà che è proprio degli individui si passerebbe a un senso di proprietà, di potenza e di ricchezza che è proprio della comunità come tale! Però, ecco, intanto l'anima si spoglia di quello che possiede, sentendo veramente che quanto possiede le viene permesso di usarlo nella comunità: di fatto, quello che possiede è già della comunità, non è suo.


Questo deve essere il sentimento interiore di ciascuno di noi: di non avere la proprietà, ma l'uso delle cose che abbiamo. Questo interiormente, perché di fronte alla legge ci rimane tutto quello che possediamo. Sentire veramente che se qualcuno di noi ha bisogno, se la comunità ha bisogno delle nostre cose, le nostre cose non sono più nostre. Effettivamente non erano nostre nemmeno prima… Certo, la comunità deve anche impegnarsi verso chi ha bisogno, perché altrimenti il senso comunitario sarebbe realizzato soltanto da chi dà. Un senso di comunione si stabilisce soltanto quando c'è un dare e un ricevere, quando c'è una reciprocità: tutto è comune. Perciò, se quello che è mio è di tutti, anche quello che è di tutti è mio.


Ma tutto questo è ancora ben poco. Quello che importa è la donazione della nostra vita, dell'essere nostro, cioè l'impegno a vivere tutta la propria esistenza nella comunità e per la comunità, in quanto la comunità è strumento di carità anche nella Chiesa. Questa offerta della propria esistenza, del proprio tempo, delle proprie doti alla comunità, è il dono della propria vita. E la comunità se ne avvale per poi agire anche fuori di sé.
Questo dono dell'esistenza deve essere vissuto in modo tale che si senta che è stato compiuto in forza di un amore soprannaturale, perché l'uomo possa liberarsi dal proprio egoismo e vivere per gli altri.
La comunità si realizza nel dono della vita di ognuno, e non esisterà mai fin tanto che questo dono non si compirà in concreto: la comunità non esisterà per te se tu non ti doni, non esisterà per me se io non mi dono.


È un dono, ma non ci spoglia, non ci impoverisce, perché quanto doniamo veniamo ora a possederlo non più come cosa personale, ma come bene comune. Mai noi doniamo una cosa in tal modo da non possederla più: è anzi nel donarla che noi la possediamo in un modo più intimo e grande. Il dono onde noi offriamo e mettiamo in comune la nostra vita, l'essere nostro e tutto quello che abbiamo, non ci rende poveri, perché crea la comunità. Perciò, mettendo tutto in comune, noi veniamo veramente ad acquistare un bene maggiore. Questo anche per riguardo alla ricchezza, alla potenza della vita, alla capacità di azione che ha la nostra esistenza. Questo anche per quello che riguarda – più intimo di tutti – il bene soprannaturale, che è legato essenzialmente alla nostra libertà.


Dobbiamo renderci conto che è sempre così quando veramente si vive di amore: si crede di spogliarci ed effettivamente veniamo ad arricchirci. Ma bisogna che il nostro dono sia davvero reale perché l'anima possegga veramente anche questa ricchezza, sia reale in tal modo che l'anima si liberi da ogni egoismo, da ogni individualismo chiuso. Allora di fatto l'anima sente che la sua ricchezza è cresciuta. Non per nulla Nostro Signore nel Vangelo ci insegna che coloro che hanno lasciato per amore di Cristo – c'è anche qui il senso comunitario, la realizzazione di una certa comunità fra i discepoli e dei discepoli con Cristo – coloro che hanno donato, che hanno lasciato tutto per Lui, e campi e case e moglie e fratelli e figli, posseggono il centuplo già in questa vita e la vita eterna nel futuro. È realmente così.


Se la comunità è chiusa, i doni di ognuno accrescono la potenza e la ricchezza della comunità, che non si mette a disposizione di carità per gli altri. Ma quando si dona per Cristo, si crea una comunità in cui veramente la ricchezza di ognuno aumenta: per ognuno diviene più grande la possibilità di agire e la nostra vita acquista potenza, perché non è più una vita isolata, ma si potenzia della vita di tutti gli altri. E questo avviene non tanto per un rinnegamento, per una mortificazione della personalità dei singoli, quanto per un potenziamento della personalità di ciascuno. Mai nella nostra vita realizziamo tanto noi stessi come quando veramente ci doniamo e realizziamo una comunione di vita con gli altri.


La nostra vita nella comunità acquista forza, vigore, potenza – potenza di amore, di attività, potenza efficace voglio dire, non in senso umano – nella misura che noi davvero realizziamo una comunione di amore fra noi; non in quanto ci separiamo dagli altri, non in quanto vogliamo difenderci di fronte all'amore, non nella misura che noi ci rendiamo indisponibili di fronte agli altri, ma nella misura invece che ci siamo donati.